Perché modificare il DNA[LT1] di una pianta? L’obiettivo è introdurre attraverso geni[LT2] prelevati da altri organismi, nuove proprietà, come la resistenza a virus[LT3] e parassiti e agli erbicidi usati contro le piante infestanti. Nella prima metà degli anni ’80, l’americano Kart Muli ha messo ha punto un processo che permette di duplicare velocemente qualunque frammento di DNA indipendentemente che sia stato prelevato in natura oppure che abbia subito delle modificazioni in laboratorio.
Con questa tecnica, chiamata PCR[LT4] in poche ore si possono ricavare centinaia di miliardi di molecole identiche in tutto e per tutto a quella di partenza presa quindi come campione.
Così gli scienziati isolano dalle cellule di diversi organismi il gene responsabile di proprietà e funzioni utili e caratteristiche, ne producono molte copie e le inseriscono nel DNA della pianta che vogliono modificare.
La tecnica più diffusa, per introdurre i geni nel nucleo delle cellule vegetali si basa sulla capacità di un batterio, l’Agrobacterium tumefaciens (dal latino), di trasferire parte del proprio patrimonio genetico alle piante che infetta. Alcuni vegetali però resistono all’azione di questo batterio. Per intervenire su differenti tipi di cereali come il riso, il mais ed il frumento gli studiosi hanno realizzato due tecniche alternative. una consiste nel bombardare la cellula vegetale con particelle d’oro o di tungsteno ricoperto di frammenti di DNA. L’altro metodo consiste nel sottoporre la cellula a brevi e ripetuti impulsi elettrici che provocano l’apertura temporanea dei pori della membrana e la rendono di conseguenza permeabili al DNA estraneo.
Facendo
riprodurre le cellule manipolate, prima in provetta e successivamente nelle
serre, i ricercatori, ottengono piante adulte transgeniche, l’obiettivo
che volevano appunto raggiungere.
I
vegetali sono capaci di sviluppare una sorta di reazione immunitaria nei
confronti di un virus che li attacca. Questo comportamento permette ai
vegetali di riconoscere e bloccare immediatamente quel particolare virus
se già ne sono entrati in contatto.
I
biologi usano questo tipo di meccanismo per produrre varietà di
piante resistenti alle malattie portando così vantaggi alla qualità
della vita dell’uomo, per esempio, basti pensare a raccolti migliori: producono
nel loro DNA alcuni geni di origine virale, così la pianta è
in grado di riconoscere e combattere il nemico fin dal primo tentativo
di infezione: una specie di “vaccinazione”.
E
se gli aggressori non sono virus ma insetti? Si inserisce nelle cellule
vegetali un gene prelevato dal Bacillus thuringiensis, in microrganismo
che produce una tossina insetticida, rendendo le foglie velenose solo per
i parassiti.
Si può anche creare la copia speculare di un pezzo di DNA, come aveva fatto la statunitense Calgene con il gene che non fa marcire i pomodori troppo maturi (il prodotto è stato poi ritirato e oggi viene usato solo per fare ketchup). La copia viene introdotta nel DNA della pianta. Quando il gene originale entra in azione, anche il suo doppio di attiva e produce una molecola[LT5] che aderisce a quella naturale e la neutralizza.
Sapere
che nei nostri menù potrebbero presto comparire parmigiane di melanzane
transgeniche o patate fritte geneticamente manipolate crea, nella migliore
delle ipotesi, un senso di inquietudine, fino ad arrivare a vere e proprie
forme di panico collettivo. Chi può assicurarci che gli organismi
geneticamente modificati (Ogm) destinato al consumo umano non abbiano effetti
negativi sulla salute? Un precedente esiste: nel 1998 un’azienda giapponese
mise in commercio negli Stati Uniti un amminoacido[LT6]
usato come tranquillante, il triptofano, sintetizzato attraverso un batterio
geneticamente manipolato. L’anno successivo, migliaia di persone che avevano
consumato il prodotto accusarono dolori muscolari difficoltà respiratorie,
tosse ed eruzioni cutanee. Gli esperti della Fda, l’ente americano che
si occupa di approvare i farmaci sul mercato, analizzarono campioni di
triptofano e rintracciarono due tossine responsabili dell’epidemia. Non
fu possibile accertare se le sostanze incriminate erano sottoprodotti della
manipolazione genetica effettuata sul batterio, ma l’incidente pose per
la prima volta il problema della sicurezza degli alimenti transgenici.
Da allora, sia negli Stati Uniti sia in Europa, per il controllo degli
Ogm sono stati elaborati metodi basati sulla spettometria di massa, una
tecnica che permette di identificare con grande precisione la composizione
chimica di una sostanza. Confrontando i dati ottenuti con la composizione
di centinaia di migliaia di sostanze già note, si possono individuare
eventuali tossine e molecole responsabili di reazioni allergiche.
Da
una parte analisi complicate. Dall’altra fenomeni allarmanti come quello
scoperto da un gruppo di ricercatori americani della Cornell University.
Che hanno studiato un mais transgenico resistente ai parassiti, modificato
con materiale genetico tratto dal Bacillus thurigiensis, per renderlo velenoso
per gli insetti nocivi.
Da
prove di laboratorio è emerso che le piantine uccidono anche le
larve di farfalla monarca, che non si nutrono di mais, ma entrano in contatto
con il suo polline. Va tuttavia ricordato che in laboratorio erano state
usate concentrazioni più elevate di quelle che si trovano in natura.
I sostenitori degli Ogm assicurano che la tossina del Bacillus thurigiensis
non è pericolosa per l’uomo, perché viene distrutta nella
cottura del mais e nella digestione. Un’altra fonte di preoccupazione è
la possibilità che gli alimenti geneticamente modificati trasmettono
frammenti di DNA ai batteri[LT7]
presenti nel nostro organismo e li rendano più aggressivi e resistenti.
“E’ possibile che materiale genetico venga trasmesso da una pianta ad un
batterio”, spiega Giovanni Martelli della facoltà di Agraria dell’Università
di Bari, “ma è un fenomeno molto raro e limitato ai microrganismi
del terreno di coltivazione”. E le analisi hanno dimostrato che il DNA
contenuto negli alimenti viene distrutto dagli acidi nella digestione.
La
ricerca nel settore delle piante transgeniche è attiva anche in
Italia.
La
facoltà di Agraria dell’Università cattolica di Piacenza,
per esempio, sta studiando un riso modificato con un gene prelevato dalla
soia che lo rende resistente ai parassiti senza bisogno di pesticidi. “Il
gene impedisce all’insetto di digerire le proteine della pianta di riso
di cui si ciba e lo fa morire di fame” spiega Corrado Fogher, docente di
Manipolazione genetica di organismi di interesse agrario e responsabile
dell’Osservatorio di organismi transgenici in agricoltura dell’Università
cattolica di Piacenza. “Il prodotto del gene modificato è presente
solo nella foglia e non nel seme, per evitare problemi agli esseri umani,
anche se questi inibitori della digestione vengono disattivati dal calore
della cottura”. La sperimentazione è già in fase di prova
su campo in alcune risaie sperimentali, per verificare la frequenza con
cui il gene modificato si trasmette ad altre varietà della pianta.
Il polline può viaggiare per centinaia di metri, consentendo la
potenziale diffusione dei caratteri introdotti con il gene modificato ad
altre piante. Sempre a Piacenza è in corso un progetto per produrre
un’uva da tavola ipocalorica ma molto dolce, perché in grado di
accumulare nell’acino una proteina dal sapore zuccherino, la taumatina,
recuperata dalla pianta africana Thaumatococcus danielii: per ottenere
l’equivalente potere dolcificante di 10mg di taumatina occorrono 20g di
zucchero. Un’azienda italiana sta sperimentando melanzane e patate resistenti
rispettivamente alla dorifera, in coleottero, e alla tignola del tubero,
un lepidottero. Vengono utilizzati due diversi geni tratti dal Bacillus
thurigiensis. “Salvatore Arpaia, responsabile delle prove su campo per
la resistenza agli insetti spiega che la manipolazione produce una proteina
tossica per i parassiti, ma innocua per alcuni insetti non dannosi e soprattutto
per l’intestino dei mammiferi. Un biologo ha invece brevettato una melanzana
che fruttifica anche in assenza di fecondazione[LT8]
.
La
manipolazione genetica dei cibi non è più solo una preoccupazione
che riguarda solamente gli scienziati. Le recenti polemiche sulla brevettabilità
hanno dato vita ad un movimento di protesta coinvolgenti gruppi ambientalisti,
associazioni religiose. Nessuno di noi sa cosa ci riserva il futuro. E’
chiaro che l’ingegneria genetica e la tecnologia Terminator (chiamata così
perché permette di produrre
piante sterili, inserendo nel
loro genoma un meccanismo suicidio automatico) sono pericolose, che dietro
di esse c’è il capitale privato e che si sta procedendo troppo in
fretta. Ma è altrettanto evidente che le cose, una volta inventate,
non si possono accantonare. Basti pensare al Ddt o al nucleare. Con il
primo si sarebbero dovuti curare i problemi dell’agricoltura mondiale.
Con il secondo, ci sarebbe stata energia in abbondanza. In entrambi i casi,
si è visto come è andata. Oggi ci troviamo di fronte a due
possibili scenari: o un inquinamento genetico provocherà la catastrofe
ecologica e la conseguente sparizione della specie umana; oppure impareremo
ad usare le tecnologie con attenzione e a rettificare alcune delle gravi
distorsioni che sono venute a crearsi durante l’era industriale. In parte
qualcosa è già accaduto ma deve cambiare indubbiamente ancora
molto.
Marco
Laganà e Daniele Quadroni-Liceo Scientifico T:Taramelli-Pavia
.
[LT1] Macromolecola formata da nucleotidi di desossiribosio ciascuno dei quali comprende un gruppo fosfato, un residuo di zucchero desossiribosio e una delle seguenti basi: adenina, citosina, guanina o timina.
I nucleotidi dei due filamenti si appaiano in modo complementare mediante legami idrogeno. La molecola ha la forma di una doppia elica. Porta l’informazione genetica di tutte le cellule viventi. Costituisce anche il materiale genetico di alcuni virus.
[LT2]Unità ereditaria, contenente l’informazione per un particolare carattere. E’ un segmento di DNA localizzato in un determinato sito su un cromosoma.
[LT3]Particella
parassita non cellulare costituita da un involucro proteico che circonda
un filamento di materiale genetico. I virus possono moltiplicarsi solo
all’interno di cellule vive.
[LT4](reazione a catena della polimerasi). Tecnica mediante la quale è virtualmente possibile produrre copie di uno specifico frammento di DNA in numero illimitato, partendo anche da un campione estremamente piccolo.
[LT5]Combinazione relativamente stabile di atomi: organica se contiene sia carbonio che idrogeno, inorganica se non li contiene entrambi.
[LT6]Subunità
costitutiva delle proteine, formata da un atomo di carbonio centrale cui
sono legati in gruppo amminico (-NH2) un gruppo carbossilico
(-COOH), un atomo di idrogeno ed un gruppo variabile di atomi indicato
generalmente con la lettera R.
[LT7]
Organismi costituiti da una singola cellula procariote circondata da un
complesso involucro polisaccaridico.
[LT8]Fusione
dei gameti aploidi maschile e femminile per formare uno zigote.